La fretta dei loro passi

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Esploro il deserto negli occhi della folla.
Le loro bocche hanno portato troppi segreti.
Le loro orecchie hanno udito troppe infamie.
Le loro anime sono secondarie, nascoste dalla fretta dei loro passi. Incapaci di osservare, guardano la vita da spettatori.
Servirebbe un po’ di musica per ravvivare i sensi, musica per l’anima, per il corpo, per la vita.

Debora Conti

Riflessi

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Mi chiedo se possiamo davvero fidarci dell’immagine che vediamo ogni mattina allo specchio, ci vediamo per ciò che siamo o per ciò che vorremmo essere?
Non credo di potermi fidare dei miei occhi, spesso mutano le figure per renderle più simili a ciò che vorrei, il cervello crea castelli di fragili illisioni, sempre inclini a infrangersi e ferirmi.
L’unico modo per essere sinceri é confidare nell’animo, le nostre colpe non mentono.

Debora Conti

Racconti: Azzurro, blu, azzurro

Tempesta di mare

Azzurro, blu, azzurro, qualche schizzo di bianco, velluto che danza a ritmo di una musica impercettibile che solo chi ascolta il mare può distinguere, è un’orchestra che suona movimenti, per Petro questo è il Mare, senza inizio e senza fine.

Figlio di un artigiano, Petro non amava, tanto quanto il padre, le arti. Le rispettava e le apprezzava ma non le faceva sue benché fosse cresciuto dalle mani di un pittore, nutrito dai colori di quella tavolozza che diede vita a mille volti e mille dei. Aveva chiesto spesso al padre di dipingere quel velluto danzante come voce soave di una dea, ma l’anziano uomo ormai era diventato esso stesso i rigidi schemi che si imponeva per dipingere i desideri dei ricchi committenti; così facendo divenne presto incapace di lasciarsi andare tra le braccia dell’arte, quella vera, quella che non può essere giudicata, noi perché noi siamo arte. Dunque Petro terrorizzato dall’idea di intraprendere il tedioso cammino del padre passava molto tempo sulla spiaggia; cercava di immaginare un dipinto del mare ma non ci riusciva, il mare non ha inizio e non ha fine, non ha calma ne fretta, sa che tutti attendono lui, quando avrà voglia farà partire le navi, le uniche amiche che lo consolano dalla solitudine del suo abbraccio, con loro giocherà e se si sarà divertito le porterà all’arrivo con amore materno. In quel momento gli sfreccio un’idea nella mente: NAVI.

Corse a casa per spiegare al padre la sua teoria: per capire veramente il Mare bisogna giocarci, entrare nel suo triste abbraccio e sopravvivergli, questo era il Mare, sopravvivenza.                                                                                             “Certo! Velluto, musica, sopravvivenza e poi?!”                                                                                                                  “Non sto scherzando padre, io troverò il Mare e ve lo porterò!”

Il padre, un uomo magro e dall’aria malaticcia, si congedò dal figlio senza rispondergli, si girò e uscì di casa, forse se avesse saputo che destino lo attendeva si sarebbe fermato qualche minuto in più per imprimersi nella memoria i volti a lui cari. Poco dopo anche Petro si voltò, si diresse verso la spiaggia e si prese qualche giorno per riflettere; in realtà bastarono poche ore per elaborare il suo piano, sarebbe andato al porto della sua piccola città, non è un luogo importante, non ha segnato la storia, è la patria senza nome di un sognatore, arrivato a quel punto il piano vacillava, non sapeva bene come comportarsi, anzi non ne aveva idea, ma era comunque un inizio.

Non gli serviva altro, le lacune del suo piano erano colmate da un’infinità di domande sulle navi, prima tra tutte come funziono, per lui era ancora un mistero, ma in fondo è così che si comincia un viaggio, tante domande e nessuna risposta. Passò giorni alla ricerca di navi, in un porto non ne vedeva, o meglio non trovava quella giusta, un mattino però, sarà stato il caso o il volere di qualcuno, Petro fece la conoscenza di Attalos, un giovane mercante desideroso di conoscere i segreti della terra, era seduto a gambe incrociale distante qualche millimetro al punto dove il Mare raggiunge il massimo dominio che ha sulla terra e poi si ritrae, il confine del suo mondo.                                                                                                   “Hai una barca?”, si passava la sabbia tra le mani come se volesse contare i granelli.                                                              “Si, dove vuoi andare?”                                                                                                                                                        “Nel Mare.”                                                                                                                                                                               Il ragazzo si alzò senza rispondere, questo infastidì Petro che lo seguì fino alla barca; il ragazzo non si era voltato nemmeno una volta per accertarsi che fosse seguito, parlò solo quando entrambi si trovarono sulla barca, diede degli ordini a Petro e partirono in giorno stesso.

Il vento era a loro favore, il Mare era tranquillo, probabilmente qualche divinità provava simpatia nei loro confronti, ma sapevano che presto sarebbe cambiato qualcosa, nel frattempo navigavano in tutta calma quelle sulle timide creste, ma il Mare iniziava ad annoiarsi.                                                                                                                                                 Creste.                                                                                                                                                                                     Creste, creste sempre più grandi si innalzavano sulla superficie mentre il velluto si trasformava sempre più rapidamente in un immenso groviglio di filo spinato che si aggrappava come fosse vivo al legno ormai logoro dell’imbarcazione; videro le loro provviste cadere in quel vortice di distruzione che nessuno sapeva placare, portava solo orrore nei loro occhi, non riuscivano più a distinguere il cielo dalle tonnellate d’acqua salata che li circondava. Rischiarono di scivolare nel suo freddo abbraccio molte volte, così Petro capì, il Mare era velluto che danza, era musica, era sopravvivenza ma era anche orrore.

Esso però non si era divertito abbastanza, così tra quelle immense creste si aprì un varco capace di risucchiare anche la luce negli abissi più profondi. Petro e Attalos si guardarono, lo capirono subito, il loro destino era segnato. Essi però non si scoraggiarono, non si sarebbero donati al Mare senza dimostrargli la loro forza, o almeno questo era ciò che pensava Petro, Attalos no, era stanco di lottare e pensò che fosse ora di lasciarsi al suo vecchio amico.                                             “ATTALOS, COSA STAI FACENDO? VIENI A REMARE”, mentre urlava l’acqua gli entrava nei polmoni, il sale gli bruciava gli occhi, voleva chiuderli, appisolarsi e svegliarsi altrove, sperava fosse solo un incubo.                                         “ATTALOS TI HO DETTO DI MUOVERTI POSSIAMO ANCORA SALVARCI!”                                                                           “Tu puoi, amico”.                                                                                                                                                                   Sorrise, poi li lasciò cullare in acqua, fu come se non avesse mai messo piede su quella barca, tutto ciò che era non esisteva più.

Petro continuava a remare, remava fissando in vuoto, non aveva più uno sguardo, il Mare lo risparmiò, calma.                      All’esterno tutto si era placato, dentro un oceano in burrasca, dentro solo Mare, sempre.